Elaborare il lutto, progettare il futuro
Siamo ancora qui. E’ passato un anno e sulle nostre spalle pesa quello che è successo. Mai prima di oggi diventa particolarmente significativo elaborare, collettivamente, l’esperienza che abbiamo vissuto.
La vita precedente al Covid-19, basata su sentimenti di certezza e sicurezza, che ognuno aveva, a suo titolo, strutturato su criteri economici, affettivi e/o relazionali è stata attraversata da una profonda scossa; ora il compito comune è quello di cercare un nuovo equilibrio psichico, fondato su nuove consapevolezze.
Investire su una nuova vita
Per certi versi, siamo tutti coinvolti in un processo di elaborazione del lutto. Poiché siamo chiamati ad abbandonare una parte di noi per reinvestire un nuovo modo di stare nella vita. Da questo punto di vista, il compito di congedare il nostro rapporto con il mondo pre-pandemia ci accomuna tutti e può guidare la ripartenza sul piano delle relazioni e promuovere una maggior coesione sociale.
Il lutto di questo tempo non ha a che fare solo con la morte di qualcuno vicino a noi o nella nostra famiglia. E’un lutto identitario, è, anche, il lutto della nostra vita precedente a questa situazione. Il trauma della pandemia ha creato una frattura fra la nostra vita precedente e il futuro che ci attende.
Superare il trauma
Frattura che va elaborata a tutti gli effetti come un lutto di “noi”, di ciò che eravamo e di ciò che saremo. Il lutto che collettivamente ci troviamo a dover elaborare riguarda la necessità di dover reinvestire un futuro che rappresenti il superamento del trauma, inteso come tempo traumatico vissuto.
E’ noto come l’isolamento sociale imposto ha fatto si che le persone si siano trovate ad affrontare la perdita di persone care in solitudine. La malattia e la morte hanno fatto irruzione nelle nostre vite, nei nostri ospedali, nelle nostre case, nelle nostre strade. Nella distanza imposta dal rischio di contagio, il conforto nel dolore è stato ridotto al minimo e si è amplificata la sofferenza, di chi stava vivendo il lutto in primo luogo e di chi ne era coinvolto e ha assistito impotente senza poter manifestare sostegno e solidarietà attraverso il contatto.
Elaborazione collettiva e non individuale
Mai come in questo momento sarà necessario che il lutto trovi spazi di espressione, di condivisione e di racconto, perché l’elaborazione non sarà necessaria “solo” per l’individuo, direttamente interessato dalla perdita, ma anche per la comunità attraversata da rotture e separazioni traumatiche.
Gia’ nella vita pre-pandemia i ritmi e gli spazi saturi del nostro vivere quotidiano avevano ridotto all’osso la possibilità di elaborazione collettiva del lutto.
Non c’era più tempo per fermarsi a piangere, a pensare l’assenza e sostare nel racconto: basti pensare che di fronte al lutto di un parente le persone avevano a disposizione due o tre giorni di congedo lavorativo per poi tornare operativi, come se quel tempo fosse bastato a contenere il dolore e a ripartire mentalmente. Sappiamo che non è possibile, che ci vuole almeno un anno in condizioni non patologiche per tornare a vivere dopo un lutto importante, ci vuole almeno un anno affinché il pensiero investa su altro.
Isolamento sociale e “tempo lento”
L’isolamento ci ha restituito un tempo lento, che però è spesso un tempo in solitudine. Le perdite durante l’emergenza Covid sono lutti muti, senza un saluto rituale, sono state separazioni nella separazione. La narrazione di ciò che è accaduto, di sé in relazione a ciò che è accaduto e il racconto di chi era colui che è mancato è stata delegata ai singoli individui o ai nuclei famigliari ristretti e ha abitato la dimensione intima e privata della casa, dove spesso sono state portate le ceneri dei propri cari.
Una narrazione collettiva “spezzata”
In pochi altri contesti sociali è stata data parola al lutto: nelle corsie degli ospedali, gli operatori sanitari sono stati chiamati a “parlare” di queste morti e a darne comunicazione; nei cimiteri, gli operatori delle pompe funebri hanno accompagnato le salme fino alla cremazione; qualche parroco nelle comunità è diventato depositario dei racconti sul lutto e alcune figure istituzionali hanno restituito visibilità ai cittadini del loro territorio che se ne andavano, spesso attraverso i social media. Il resto è stato relegato ad iniziative personali che vanno oggi rimesse in rete, perchè si riallacci il filo di una narrazione collettiva, spezzatosi improvvisamente.
Le emozioni trovano collocazione nel racconto
Un lutto generalmente è accompagnato da un rito di passaggio che non assume solo una funzione religiosa ma avvia un processo di elaborazione. Nel poter vegliare il corpo, nel poterlo accompagnare e piangere, la morte diventa visibile; il dolore trova un confine nel corpo e le emozioni trovano collocazione nel racconto. In questo modo il lutto da privato diviene pubblico, nel senso di “consegnato al mondo”.
Mai come in questo momento abbiamo bisogno di dedicare un tempo nuovo alla condivisione del lutto, affinchè alla polis venga restituito il compito di testimoniare la fine di una vita e farsi carico della memoria, del ricordo e del senso.
Accanto a chi ha perduto fisicamente qualcuno ci siamo tutti noi, nella perdita della nostra vita “precedente”. Su due fronti quindi emerge la necessità di elaborazione collettiva. L’esperienza che abbiamo vissuto a causa di questa pandemia può essere un’opportunità per tornare a dare un valore sociale e collettivo al lutto, per tornare a dedicare un tempo speciale all’elaborazione.
Ripartire dalla comunità
Darci un tempo condiviso per elaborare le perdite, che abbiamo subito a più livelli. Il tempo può rappresentare un’opportunità per trasformare il senso di sospensione che abbiamo sperimentato da vissuto di vuoto e alienazione a possibilità di contatto. Non esiste un sistema di coordinate già dato a cui far riferimento per rappresentarsi psichicamente l’esperienza che abbiamo vissuto, per questo è compito di ognuno e di tutti cercare nel proprio patrimonio di racconti, acquisiti ed ereditati, quelle storie capaci di generare ponti dove abbiamo incontrato abissi di non pensabilità e renderle disponibili.
Ripartiamo prendendoci cura del tessuto sociale, delle reti territoriali, delle nostre Comunità, perchè diventino luoghi di ascolto e testimonianza a partire dai quali ricucire ciò che è stato strappato.
Elaborare in gruppo. Interagire e costruire un nuovo futuro
Accanto a spazi di elaborazione spontanei, che nel potersi finalmente ritrovare nasceranno in ogni incontro, crediamo si possano istituire dei momenti condotti che facilitino e aiutino le persone a confrontarsi con quanto accaduto. Per condividere ed elaborare il dramma che ha travolto questo tempo. In questo senso, sappiamo che lo psicoterapeuta non va inteso “solo” come esperto di processi mentali, chiamato ad intervenire nella clinica del disagio psichico. Esso può anche rappresentare un facilitatore nei processi di elaborazione gruppale. La conoscenza delle dinamiche e delle caratteristiche che rendono l’interazione di gruppo efficace e costruttiva può essere utilmente applicata all’interno delle Comunità. Un piccolo gruppo condotto può diventare un ponte che permette all’individuo di aprirsi nel sociale e ai contesti istituzionali e socio-culturali di umanizzarsi, in un reciproco scambio.
Nuovi spazi vitali per ritrovare se stessi
Abbiamo bisogno di speranza, di futuro, di tornare a sognare e a progettare la nostra vita. Spazi vitali di ossigeno che oggi vanno creati come ponte, per collegare il passato ad un futuro non solo possibile. Ma necessario come è necessario iniziare a pensarlo oggi. In questo pensiero l’idea di strutturare dei gruppi di parola, se possibile in presenza (rispettando distanze e numeri consentiti) rivolti agli adulti, agli adolescenti. A chi ha perso qualcuno ma anche a chi ha perso se stesso, è il tentativo umano, sociale e clinico di rispondere a quanto accaduto. Spazi per ritrovarsi, insieme e con se stessi in una socialità che è vita.
Dott.ssa Laura Appolonia Psicologa Psicoterapeuta
Dott.ssa Laura Rosti Psicologa Psicoterapeuta, Associazione Macrame’