Tsunami sociale
Il governo italiano, alle prese con l’emergenza Coronavirus, sta mettendo in campo strumenti e soluzioni che al momento sembrano insufficienti. Quello che ci ha travolto è stato un vero e proprio tsunami sociale ed il blocco dell’economia può rendere la situazione davvero complicata. C’è la necessità di rapportarsi meglio e bene con l’Unione Europea per capire le logiche programmatiche presenti e future. Corre l’obbligo di interfacciarsi con le Regioni, detentrici delle finanze provenienti dai Fondi strutturali. E’ necessario comprendere a che punto è la spesa europea nazionale programmata per il periodo 2014/2020.
Il contesto attuale
Nel nostro Mezzogiorno le differenze di reddito sono più marcate che nel Centro-nord ed i redditi più bassi sono dovuti a differenti opportunità lavorative. Non solo il Sud è più povero del Nord ma è più diseguale e più esposto.
Al Sud, il 13% degli individui vive in famiglie senza percettori di reddito, il tasso di occupazione è al 44% (contro il 66% del Nord), la disoccupazione molto più alta, il lavoro nero più diffuso.
I fondi europei sono l’unica risorsa?
Sulla scorta delle info aggiornate costantemente sul sito della Commissione europea, Cohesiondata, i programmi italiani che utilizzano il FESR hanno già assegnato a progetti selezionati l’86% delle risorse. Dunque entro il 2023 restano da spendere 4,7 miliardi di euro. Per il Fondo sociale l’importo teoricamente disponibile è di 5,5 miliardi. Con le risorse residue di Garanzia Giovani si arrivarebbe a 10,5 miliardi.
I fondi strutturali a disposizione
Ammontano a 5,3 miliardi di euro i fondi strutturali della programmazione 2014-2020 non ancora spesi dal nostro Paese. Tali finanziamenti potrebbero essere utilizzabili nel 2020 per l’emergenza provocata dal Coronavirus. Di questi 3,7 miliardi sono quelli destinati alle cinque regioni meno sviluppate (Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia), 253 milioni dai programmi delle regioni in transizione (ossia solo programmi FESR e FSE della Sardegna), e 1,2 miliardi destinati alle regioni del centro-nord.
L’Italia, in relazione alla programmazione 2014/2020 avrebbe ancora 14 miliardi da spendere (fondi diretti e fondi indiretti), ma tale cifra è già giuridicamente vincolata. La cifra è quindi non utilizzabile per la battaglia contro il Coronavirus e per il sostegno a lavoratori e aziende. È quanto hanno spiegato fonti europee.
Il monitoraggio dei fondi
Entro i prossimi giorni però dovrebbe essere terminato il monitoraggio delle risorse disponibili che gli uffici del Mef e l’Agenzia della Coesione, in stretto contatto con la Dg Regio della Commissione sta effettuando per gli oltre 50 programmi italiani che gestiscono Fondi Strutturali europei come ad esempio il FESR ed il FSE.
Queste risorse potranno finanziare spese sanitarie, dalle attrezzature all’assunzione di medici e infermieri, misure sociali (ammortizzatori sociali e sostegno al reddito), misure per il capitale circolante delle imprese. Tutte spese che le “normali” regole di spesa dei fondi strutturali non consentirebbero di impiegare.
La proposta di Provenzano
Il ministro per il Sud e la coesione territoriale, Provenzano, propone alle Regioni di “deviare” sull’emergenza Coronavirus circa il 20% delle risorse previste nella programmazione 2014/2020. Tali risorse finanziarie sono pari a 6,7 miliardi, dei 4,9 miliardi delle regioni meno sviluppate, 1,4 miliardi delle regioni più sviluppate, e 355 milioni di regioni in transizione. Circa 1,8 miliardi sarebbero prelevati da programmi nazionali come ad esempio il PON. Il ministro si è impegnato a fare in modo che le risorse non vengano mobilizzate da una regione all’altra, anche se le modifiche ai regolamenti europei lo consentirebbero.