Dal marzo del 2020 la nostra impresa sociale, come tante altre imprese, si trova in un perpetuo stato di profonda riorganizzazione a causa dei devastanti effetti della pandemia da COVID 19.
I mesi trascorsi all’insegna della creatività e della adrenalina hanno ormai lasciato il passo a processi riflessivi innescati dalla profonda trasformazione della società in cui stiamo vivendo.
La Cooperativa Stripes
La cooperativa Stripes della cui direzione mi occupo con una certa dose di orgoglio e gratitudine, si occupa di gestione di servizi educativi per la prima infanzia e l’adolescenza. Quello dei servizi alla persona e alle famiglie è uno dei settori più duramente colpiti dalla pandemia in corso. I luoghi dell’educazione sono rimasti chiusi per gran parte del 2020 e tuttora sono in sofferenza a causa di aperture e chiusure improvvise dettate della emergenza epidemiologica in Lombardia.
Se mi interrogo rispetto a ciò che ha animato le nostre giornate al principio di questo percorso a ostacoli iniziato oramai più di un anno fa trovo tanta paura e preoccupazione , più di un momento di ansia, una gran dose di desiderio di non perdere i pezzi e la speranza, legata indissolubilmente al desiderio di ritrovare presto i sorrisi dei bambini che abitavano i nostri servizi.
Il processo riflessivo innescato con i colleghi in queste ultime settimane, finalizzato a ripensare la nostra cultura organizzativa alla luce degli accadimenti legati al COVID, ha rivelato tanta paura di sbagliare ma anche l’orgoglio per i modi ingegnosi trovati per proseguire il proprio lavoro di cura seppure a distanza.
Generatività diffusa
In poche settimane una impensabile e ineluttabile accelerazione agita su più livelli ha portato STRIPES ad una condizione di generatività inedita e straordinaria. In pochi giorni il significato della parola “cooperazione” si è concretizzata in una palese epifania. Il desiderio di esserci unitamente alla percezione di doversi reinventare le parole per comunicare lo stravolgimento che ci stava attraversando ha animato i nostri gesti quotidiani.
Ci abbiamo messo un po’ di tempo a riconoscere il cigno nero (Taleb, 2007) con il suo portato di imponderabile e imprevedibile disastro attaccato alle piume. Dopo una prima forma di disperata negazione è arrivata la consapevolezza che c’era un mondo di idee anche nuove, anche sperimentali, anche non verificate, anche non sicure che andavano semplicemente esplorate, raccontate, messe sul tavolo.
Resilienza e riprogettazione
Sono nate così le riprogettazioni della didattica a distanza nei servizi scolastici ed extrascolastici; sono nate così anche le cronache resilienti: racconti da un mondo pedagogico in cui donne e uomini che hanno scelto la relazione educativa come ambito del proprio agire quotidiano avevano necessità di confrontarsi con i pochi e, spesso vituperati, mezzi tecnologici a disposizione.
Le nostre case (dove convivono amabilmente sul tavolo della cucina il Mac sempre acceso, le zucchine da affettare e il quaderno dei compiti della figlia più piccola) sono diventate il rifugio di menti laboriose che, sfidando le insidie della rete, i blocchi di Zoom e gli sfondi a scacchi di Skype, hanno rivoluzionato totalmente un’ impresa sociale.
Come sta cambiando allora il nostro modo di fare impresa?
Potrei sintetizzare dicendo che lo sforzo che ci vede maggiormente coinvolti è quello di rispondere a sollecitazioni provenienti da interlocutori territoriali rappresentati da amministrazioni pubbliche, reti associative, semplici cittadini.
Il tema della coprogettazione dei servizi ad esempio ci interroga fortemente e ci sollecita a metterci al fianco dei Comuni del nostro territori cogliendo la sfida ridisegnando servizi, trasformandone la conformazione, rivoluzionandone la pragmatica.
Sta facendosi largo un nuovo modo di intendere la partnership con gli stakeholder dei territori in cui viviamo improntato ad una nuova forma di “proattività”.
Pensiamo ai nostri territori, a soluzioni per i problemi del nostro vicino di casa, pensiamo allo sviluppo di una dimensione locale e digitale insieme, pensiamo al mondo che ci sta cambiando sotto i piedi e che non tornerà mai più a farsi guardare nello stesso modo. L’inatteso si è fatto strada nelle nostre vite e il nostro lavoro di oggi è quello di cercare di stabilire un nuovo ordine, consapevoli del fatto che non si tratterà di ristabilire ciò che c’era ma di costruire le basi per una rinnovata Weltanschauung sul presupposto “Se non osi non ci credi”.
Azione e pensiero, in questo (inedito) ordine
Cerchiamo di darci un metodo nelle riunioni via etere, facciamo un ordine del giorno che addirittura rispettiamo, stendiamo dei verbali e ci prendiamo in giro per la nostra inconsueta voglia di linearità e stabilità. I processi decisionali subiscono impennate verticistiche telefoniche che poi si riallineano con lunghe discussioni in Meet in cui si trova il punto e lo si tiene stretto, tutti insieme.
I più disordinati tra noi hanno imparato ad usare “drive” e gira voce che una strana disciplina si stia impossessando di noi. Ci ritroviamo a compiacerci per le scelte e gli investimenti fatti nel corso degli ultimi tre anni sul fronte dell’innovazione tecnologica in cooperativa, ci diciamo che è stata una condizione che ci ha reso meno fragili, che ci ha infrastrutturato, permettendoci di resistere a questo terremoto riuscendo a reggendo il colpo.
Investire nei momenti di crisi?
E questa riflessione tocca un punto importante e strategico di qualsiasi cambiamento organizzativo: quanto è importante investire durante i momenti di crisi? Come trovarne la forza e soprattutto come convincere gli investitori grandi e piccoli a scommettere sul futuro in un momento di grande incertezza e complessità come quello che stiamo attraversando ?
Poi ci sono le cose che ci diciamo con la voce rotta dalla tristezza. Tra le cose che non vogliamo dimenticare c’è il profondo sconforto di alcuni momenti in cui abbiamo avuto notizia delle perdite dolorose di mamme e papà dei nostri amici e soci: intimamente ci siamo promessi che dedicheremo a loro i nostri progetti più belli. Dedicare qualcosa di bello a chi non c’è più: un po’ come abbiamo fatto quando il primo giorno di primavera del 2020 , ciascuno dalla propria casa e postando una foto, abbiamo dedicato alle vittime di mafia i nostri fiori costruiti con panni, carta e pennarelli colorati.
Taleb e l’antifragilità
Mi chiedo poi se possiamo davvero dire di aver compiuto delle scelte in queste settimane. Credo di sì: decidere di sviluppare quella che Taleb ha definito “antifragilità’” contempla l’accettazione della dimensione del rischio, e con essa, la dimensione dell’errore. E sì, questi rischi ce li assumiamo.
Percepiamo con chiarezza che assumersi responsabilità di questi tempi ha un sapore quasi antico, rivoluzionario oserei dire.
Come chiunque agisce nel pieno di una tempesta non sappiamo se è la strada giusta; è troppo presto per dirlo. In termini prospettici sta affiorando la necessità di riflettere, di scrivere, di sviluppare confronto con altri mondi produttivi; temiamo l’autarchia e l’autoreferenzialità, temiamo una alterata percezione della realtà, abbiamo bisogno del mondo che ci metta in discussione, abbiamo bisogno di litigare con il tempo che non basta mai e che nello stesso tempo incornicia tutti i nostri gesti conferendo valore a tutto ciò che facciamo.
Trasformare eventi avversi in opportunità
L’idea che ci guida è quella di Taleb quando descrive una “impresa antifragile” che si fortifica proprio a partire dagli eventi avversi trasformandoli in opportunità . Scrive Taleb, filosofo, saggista e matematico contemporaneo “l’impresa resiliente resiste agli shock ma rimane la stessa; l’impresa antifragile migliora sé stessa”.
Negli ultimi giorni le proiezioni sul futuro aprono spiragli grazie alla campagna vaccinale e così si fa strada la consapevolezza che quel tutto ad un certo punto riprenderà …da che punto non si sa, con che accordi non si sa, con che risorse nemmeno e forse neppure con che spirito. Una cosa però è certa: riprenderà tutto ciò che abbiamo coltivato con amore in questi lunghi giorni di incertezza, perplessità, solitudine e sospensione. Perché ciò che si “cura” non scompare mai dai nostri cuori e dalle nostre vite.
Immaginare una “nuova” cooperazione sociale
Così sarà per il nostro essere cooperatori: non finirà con lo storytelling di ciò che ci ha tenuto insieme, non sarà solo l’aver condiviso l’esperienza della prigionia in casa nostra a fare da collante.
Dovremo andare oltre e immaginare un ruolo più dignitoso e imprenditoriale per la cooperazione sociale. Sviluppare attrattività nei confronti delle giovani generazioni, metterci ancora più in gioco sul piano della innovazione digitale. Promuovere una vera trasformazione dei processi produttivi che passi attraverso il rispetto dell’ambiente e una logica ecocompatibile sempre più marcata. Dovremo sfruttare le intuizioni generate in questo frangente e non dimenticare ciò che stiamo imparando. Dovremo essere noi a “dare la caccia al cigno nero” imparando a prevenirne le mosse insomma, prima che ricompaia all’orizzonte più minaccioso e destabilizzante che mai.
A cura di Dafne Guida Pedagogista e Direttrice Generale Coop Stripes Onlus