Dai tempi dei tempi l’impianto della scuola è sempre rimasto lo stesso, qualcuno spiega e qualcun altro ascolta e/o impara. Ma nel corso del tempo sono cambiate le modalità, da quella verbale dei tempi classici, passando per l’introduzione della scrittura, per arrivare all’avvento del libro.
Il primo vero punto di svolta si è avuto con l’avvento della stampa e la diffusione della cultura di massa, ed ora ci troviamo finalmente ad un nuovo punto di svolta, ci troviamo di fronte ad una nuova grande sfida.
Come anche nei tempi passati, dove prima la penna era il demonio, poi i libri sono diventati il demonio, anche ora la tecnologia è additata come un demonio, ma il tempo sicuramente ci dirà altro.
Quella che adesso viviamo come una difficoltà, dobbiamo coglierla e farla maturare per renderla una enorme opportunità e non farci irretire dalla paura di girare un angolo, ma piuttosto porci nella condizione di essere incuriositi di girare pagina per leggere come continua la storia di un racconto.
La “Didattica a distanza” (da qui in avanti DaD) ha “pervaso” le case degli italiani. La scuola per gran parte delle famiglie rappresenta il quotidiano. Ma in condizioni normali, tutto è diverso: per diverse ore i bambini e i ragazzi sono fuori, sono a scuola, e poi quando tornano se devono fare i compiti possono farlo, almeno in parte, per conto loro. Con l’interruzione delle attività didattiche, gli studenti sono sempre a casa. E lo sforzo di raggiungerli con la didattica a distanza ha portato in casa una parte di quello che si fa in classe. Coinvolgendo il nuclo familiare molto più dei consueti compiti.
1. La DAD va realizzata garantendo il diritto all’istruzione. Per tutti
Il diritto all’istruzione, ai tempi del Coronavirus, può essere garantito solo in questa modalità. La Scuola è obbligata ad assicurarla. Ne sono responsabili i dirigenti scolastici, come prevedono i decreti emanati nell’emergenza Covid-19. Va fatta anche per non lasciare indietro gli studenti e sole le famiglie in questa drammatica situazione. Esiste un grande problema. Non possiamo nasconderlo. Il digital divide, cioè la forte differenza di dotazioni informatiche a seconda del ceto sociale e delle zone dell’Italia.
Secondo alcuni la DaD allarga questa forbice. Non è esattamente così. Il digital divide è radicato in un divario sociale e culturale che poco c’entra con la scuola. La scuola non può eliminarlo. In condizioni normali ne riduce solo alcuni effetti sul lato istruzione-educazione. Se funziona bene la DaD, ne limita meno gli effetti, perché è più complicato farlo. Ma se non fa nulla, quegli effetti si mostrano nella loro totalità.
2. Il corpo docente è obbligato ad attivare la DaD?
Secondo quanto prevede il CCNL e la normativa, no. Al momento è meglio soprassedere su questo aspetto. Sarebbe auspicabile che tutti la facciano. Va rafforzato al massimo il senso di responsabilità e di solidarietà per cui tantissimi si stanno dedicando. Si faccia in modo che tutti si muovano poichè coinvolti da un forte senso di comunità, e non perché obbligati senza essere convinti della legittimità di quest’obbligo.
3. Si ricorda che non sono obbligati gli studenti a frequentare la DaD
Bisogna raggiungerli tutti, ma se non è definito il funzionamento della DaD non è possibile in alcun modo registrare ufficialmente le assenze, chiederne la giustificazione. Non essendo obbligati, il lavoro degli studenti va reso del tutto praticabile nelle condizioni attuali, per rendere più facile una “frequenza” massiccia.
4. La “non obbligatorietà” si ripercuote sulla valutazione in itinere e sugli scrutini
In entrambi i casi, ma soprattutto nel secondo, decisioni penalizzanti possono facilmente essere impugnate. Quanto agli scrutini, una proposta: accettiamo che non si boccia, per quest’anno, e che si danno valutazioni che serviranno per stabilire più o meno delle competenze in uscita e per ripartire l’anno prossimo. La didattica deve quindi cambiare, perché sarà in un quadro diverso: senza bocciature. È una sfida.
5. Come va realizzata la DaD, in questo contesto?
Raggiungere tutti, quindi il lavoro prevalente non deve essere solo la videolezione. Deve essere una attività che gli studenti possano fare con una certa autonomia, anche se guidati dai docenti. È un equilibrio difficile: bisogna esserci, avere un contatto costante, allo stesso tempo proprio il collegamento digitale non deve essere troppo presente, pena un sovraccarico di lavoro, problemi per le famiglie con più figli, con genitori che hanno bisogno di usare pc e telefoni per lavoro, o con genitori che sono fuori per lavoro. La cosa più difficile è questo equilibrio.
6. Videolezioni come? Seguire gli studenti senza soffocarli
Le videolezioni, o comunque le attività in collegamento diretto (sincrono): servono, per “seguire” i ragazzi, per accompagnarli sempre; devono essere “costanti”, che vuol dire regolari; non vuole dire che devono essere onnipresenti, soffocanti; però il contatto quotidiano di qualcuno del consiglio di classe ci deve essere, anche breve. Il contatto può essere garantito anche con altri mezzi, oltre al video in sincrono: video registrati, messaggi scritti, messaggi audio ecc. La cosa più importante: gli studenti devono sentirsi seguiti.
7. Lavoro didattico impostato per l’autonomia degli studenti
È necessario però impostare un lavoro didattico che occupi gli studenti autonomamente: non bisogna precipitarsi a fare lezioni o a fare quello che si sarebbe fatto in aula; bisogna prendersi il tempo di programmare, preparare materiali, elaborare. Organizzare attività che gli studenti possono svolgere, ricevere i risultati di queste attività; leggerli e correggerli; valutarli indicando punti di forza e di debolezza; e poi “vedersi” con gli studenti, per parlarne. Il momento di incontro deve servire per discutere i lavori fatti, per rivederli, per restituirli. Questo può essere fatto in videolezione, ma anche con forum di discussione, o via email. Anche solo dare dei testi da leggere e poi parlarne a partire da dubbi e domande. Evitare quanto più possibile la “lezione”.
8. Valutazione
Va fatta, serve. Ma intendiamoci sulle parole: valutazione non vuol dire voto. Chi vuole subito “mettere i voti”, perché altrimenti “non ha abbastanza voti” è completamente fuori strada. Anzi, diciamo le cose come stanno: è fuori strada anche in condizioni ordinarie. La scuola non ha bisogno di “mettere un sacco di voti”, neanche in condizioni normali. Forse questa emergenza può far capire a tutti che la scuola fatta bene non ha il suo fine ultimo e il suo centro nel voto, che si può fare bene scuola senza voti (e senza bocciature, vedi sopra). Bisogna valutare facendo quella che viene chiamata in gergo valutazione formativa, cioè finalizzata a far vedere a ogni studente i suoi punti di forza e di debolezza.
9. Evitare assolutamente la riproduzione delle pratiche tradizionali
Non si possono fare “compiti in classe”, è ovvio, e quindi molti si buttano su interrogazioni online. Questa è una aberrazione, se fatta pensando all’interrogazione tradizionale (già discutibile). Produce mostri, di cui abbiamo sentito parlare, come gli studenti che vengono interrogati bendati. Non possiamo permetterci queste follie. Bisogna pensare, per l’orale, a forme alternative all’interrogazione: per esempio presentazioni fatte dagli studenti, seminari a piccoli gruppi (quattro-cinque studenti), ecc. Cosa fondamentale: abbandonare l’idea che “sapere” vuol dire “avere imparato a memoria”.
10. Cooperazione e supporto
La collegialità, cioè la cooperazione tra i docenti, è fondamentale nella scuola, sempre. In queste condizioni ancora di più. Se i docenti non si coordinano, non concordano un orario delle loro attività, non si parlano sui metodi e sul carico di lavoro, la DAD deraglia. Avere spirito di cooperazione, abbandonare l’individualismo spesso presente nella didattica italiana (specie nella secondaria) è la prima cosa.
11. Flessibilità
Le soluzioni proposte devono essere flessibili, rapide. Non bisogna perdersi in vincoli burocratici che impediscono di raggiungere subito e bene i ragazzi. Per esempio: i dirigenti devono garantire prima di tutto il risultato, raggiungere gli studenti, non mettere vincoli rigidi rispetto all’uso degli strumenti o ad altri aspetti. Dall’altro lato, i docenti devono capire che non possono in nessun modo riprodurre la situazione ordinaria: per esempio, l’orario dei collegamenti in videolezione deve essere leggero (non potrà mai essere uguale a quello ordinario, al massimo il 50%, meglio tra il 30% e il 40%) e flessibile quando serve. Anche qui, bisogna raggiungere un equilibrio molto difficile: da una parte garantire flessibilità e apertura, dall’altra dare agli studenti una nuova routine, che rassicura.