Il 2020 verrà ricordato, anche, come l’anno dello smartworking. L’anno in cui gli italiani, a causa della pandemia, hanno scoperto giocoforza il lavoro cosiddetto agile da casa, innescando una rivoluzione che, oltre che organizzativa, è anche culturale.
Anche nella Pubblica Amministrazione il lavoro da remoto è stato la regola. Per via del Covid le amministrazioni dello Stato sono state costrette a impostare un modello nuovo di lavoro, di cui oggi conosciamo i numeri. FormezPA ha sintetizzato per conto della Funzione pubblica gli esiti del monitoraggio effettuato sui dipendenti pubblici, e i risultati sono evidenti.
Nel 2021, dunque, il modello sarà misto, e probabilmente almeno in parte irreversibile, visto anche che gli effetti positivi sulle casse dello Stato sono cristallini: i ministeri, grazie al lavoro da casa, hanno fatto risparmiare all’Erario oltre 50 milioni di euro, 18 milioni derivanti dallo straordinario non svolto e 35 milioni dai buoni pasto non goduti. Non solo, da gennaio parte il sistema di valutazione dei dipendenti pubblici (tutte le info le trovate qui).
Rilevazioni e quante PA sono state coinvolte
Le amministrazioni coinvolte sono state 1.537, con circa 300mila dipendenti rappresentati, per un periodo che va da gennaio al 15 settembre 2020, proprio il giorno in cui il lavoro agile ha smesso di essere la soluzione organizzativa ordinaria. Per dare una rappresentazione più corretta, il monitoraggio non ha sostanzialmente riguardato settori in cui il lavoro agile è inevitabilmente marginale, come sanità e forze dell’ordine.
Nel corso del 2020 sono state effettuate due rilevazioni
- la prima è stata avviata il 25 maggio e si è conclusa il 14 luglio: il periodo osservato è compreso tra il 1° gennaio e il 30 aprile 2020
- la seconda è stata avviata il 1° ottobre e si è conclusa il 7 novembre: il periodo osservato è compreso tra il 1° maggio e il 15 settembre 2020.
L’andamento del lavoro da remoto nella PA da gennaio a settembre 2020
La PA ha registrato un picco di smartworking del 64% a maggio, dopo il 56% di marzo, primo mese di lockdown, e il 46% ancora a settembre 2020, quando sono entrate in vigore le norme del decreto Rilancio secondo cui il lavoro agile non è più la modalità organizzativa ordinaria, come nella prima fase acuta dell’emergenza pandemica, ma va ponderato con il lavoro in presenza ma andando assai oltre le sole attività indifferibili, a garanzia della continuità dei servizi per cittadini e imprese.
A gennaio i lavoratori pubblici in smartworking erano appena l’1,7%. Successivamente, l’esplosione della pandemia ha portato ai picchi di maggio con percentuali oltre l’87% per le amministrazioni centrali.
Nel periodo compreso tra il 1° maggio e il 15 settembre il lavoro agile è stato utilizzato dall’86% delle amministrazioni. Questo valore risente del fatto che gli enti più piccoli sotto i 10 dipendenti fanno più fatica a ricorrere a questa modalità di lavoro. Le amministrazioni sopra i 10 dipendenti hanno fatto ricorso al lavoro agile nella quasi totalità dei casi: dal 94% al 100%. Si è proprio osservato che il valore aumenta al crescere della dimensione dell’amministrazione.
I settori della PA che lavorano di più in smartworking
Guardando ai comparti, ci sono evidenti differenze. La PA centrale mostra livelli più alti: passa dal 3% di febbraio all’87% di maggio. A metà settembre è ancora sopra il 71%. Segue a ruota il comparto dell’Università e della Ricerca, che passa dal 6,8% di febbraio a circa l’80% di maggio e a circa il 70% di metà settembre.
Gli enti locali hanno qualche difficoltà in più ad adottare il lavoro agile su ampia scala. Ad aprile comunque 1 dipendente su 2 era in lavoro agile, a settembre 1 su 3. I valori più bassi si riferiscono come ovvio alla sanità, impegnata nella lotta contro la pandemia.
L’analisi di FormezPA
L’analisi dimostra anche come al crescere della dimensione dell’amministrazione cresce anche la quota di giornate lavorate in modalità agile. A metà settembre il personale degli enti sopra i 100 dipendenti spende il 34% del proprio tempo di lavoro in modalità agile. A maggio questo valore era pari a circa il 60%. Negli enti con personale fino a 50 dipendenti la quota di giornate in lavoro agile non supera mai il 31,5%.
Valori molto elevati si rilevano anche relativamente al numero di giornate trascorse in lavoro agile. Se a gennaio, prima della pandemia, la quota di giornate svolte in smartworking era inferiore all’1% a maggio il 57% del tempo di lavoro era svolto da remoto. Nel caso delle PA centrali questo dato toccava quasi l’80%; mentre scendeva a circa il 44% negli enti locali.
A settembre anche qui c’è stata una forte contrazione: il dato passa a circa il 32% con riferimento alla totalità delle amministrazioni. Si contrae fino al 19% per gli enti locali e fino al 3,4% in sanità.
Dove si lavora di più da casa
Guardando invece alla distribuzione geografica, il personale in lavoro agile è più presente al Centro rispetto alle altre aree geografiche del Paese: circa l’82% a maggio e il 65% a settembre, dato da collegare alla concentrazione della PA centrale in questa area. Il dato di febbraio era 2,4%.
L’andamento del Nord è abbastanza simile a quello del Sud e delle Isole, soprattutto a partire da aprile. A maggio il Nord tocca il 49% e il Sud circa il 51%. A settembre il 32% al Nord e il 29% al Sud. La Regione con il maggior utilizzo è il Lazio, probabilmente in ragione della presenza della PA centrale, seguita dalla Liguria.
Smartworking, la differenza tra uomini e donne
Osservando invece le differenze di genere, il rapporto evidenzia alcune importanti distinzioni: le donne mostrano livelli più alti per tutto il periodo. Si passa dal 3% di febbraio al 66% di maggio.
La differenza rispetto agli uomini cresce parallelamente alla crescita dell’utilizzo del lavoro agile e raggiunge l’apice nel mese di maggio con +6% rispetto agli uomini. A metà settembre la quota femminile è ancora superiore: 48% circa a fronte del 44,4% maschile.
Fonte: QuiFinanza.it