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Sventurata la terra che ha bisogno di eroi

Sventurata la terra che ha bisogno di eroi

A tu per tu con il Virus

Raccogliamo e pubblichiamo  una testimonianza di uno dei tanti medici che stanno vivendo questa grande emergenza socio-sanitaria. Un virus sconosciuto. La paura. Il contagio. Loro non sono “eroi”. Non chiamiamoli “eroi”.

Sventurata la terra che ha bisogno di eroi” questo scriveva l’autore Bertolt Brecht. Probabilmente è la verità, ma ancora più è sventurato il nostro pianeta che ha bisogno di persone per bene, in questo momento, più che mai.

Dopo l’11 settembre 2001 gli Stati Uniti celebrarono con grandi onorificenze i vigili del fuoco, che sacrificarono le loro vite per salvare migliaia di persone coinvolte nel terribile attentato. Di colpo diventarono gli eroi di una nazione. Gente comune, non persone famose, che aveva fatto al meglio il proprio mestiere. Essi avevano dato tutto e proprio per questo un Paese intero concedeva un tributo di riconoscenza paragonabile forse solo a quello che i reduci della II Guerra Mondiale avevano ricevuto.

Sventurata la terra che ha bisogno di eroi

Non sono miti, sono brave persone

Il “patentino” di eroe spinge chi la ottiene al di fuori della realtà, lo mitizza, fino a non riconoscerlo più come nostro simile. Chi è impegnato oggi negli ospedali e in tutte le strutture che servono a salvaguardarci dal Coronavirus sta facendo sicuramente più di quello che faceva quotidianamente, ma sta facendo al meglio il proprio mestiere, aiutare il prossimo. Dobbiamo riconoscere a ciascuno di loro il grande merito, l’impegno, lo sforzo enorme che gli stiamo chiedendo, ma per favore, non vanno messi sopra un piedistallo che li disumanizza e li allontana dalla realtà.

Bando alla retorica

Perché sono umani, molto umani, incredibilmente umani. Se non riusciamo a pensare a ciò significa che non abbiamo nessuna fiducia nei nostri simili. Noi umani siamo capaci di incredibili “schifezze”, ma anche di inaspettati slanci di generosità. Tutto questo sta succedendo oggi, ora, in Italia. Queste persone non hanno bisogno di riconoscimenti, ma di fiducia, di supporto morale e materiale. Facciamo sentire loro la nostra vicinanza, non allontaniamoli mitizzandoli, disumanizzandoli. Rappresentano la parte buona della nostra società, quella di cui essere orgogliosi, senza sterili appelli alla Patria. Persone che mettono le loro competenze e capacità al servizio di tutti e lo fanno con un impegno superiore, oggi, perché questo serve.

coronavirus

La testimonianza

Ricordo ancora quando al cinema vidi per la prima volta ‘Virus Letale’, un film dai contorni spiccatamente holliwoodiani “sensazionalistici”, con un cast di attori di grande livello. Rene Russo, Dustin Hoffman, Morgan Freeman e tantissimi altri. Allora giovane studente di medicina vidi quel film a cuor leggero anche se non mi sembrò allora un’assurdità anzi pensai più volte “è una situazione che può accadere, perché no…“.

Arriviamo ad oggi, dove non sono più uno studente spensierato ma un’anestesista rianimatore. I nemici contro cui, spesso di notte e di giorno, combattiamo io e i miei colleghi hanno molti nomi. Molte sindromi o malattie dai nomi lunghi o impronunciabili. Ma tutto questo è sempre stato un’abitudine per noi, routine quotidiana.

Poi improvvisamente arriva qualcosa fuori dagli schemi odierni. Qualcosa che suscita inquietudine, perché non conosci chi o che cosa sia, è un Virus. Si chiama SARS-CoV-2 , o Covid-19, meglio ancora conosciuto come Coronavirus per la sua forma. Ad oggi non vi è cura, bisogna fare affidamento principalmente sulle proprie forze, sul proprio sistema immunitario, è davvero una brutta bestia.

L’intervento

Guardia notte ore 23,30. Ci chiamano per una paziente grave che deve essere operata, una perforazione intestinale. La paziente ha il Covid, addensamenti polmonari, abbiamo la conferma dell’intervento. Allestiamo la sala operatoria speciale per i pazienti Covid lontana dalle altre sale. Così spesso, in ogni guardia giorno o notte che sia, si ripete il solito rituale della preparazione. Le emozioni e le tensioni si mescolano in un cocktail adrenalinico che ti avvicina all’evento a cui ti stai preparando. Non è più routine. La tua routine con la quale convivevi. Ora no. Non è più la stessa cosa… due guanti…due camici…due mascherine… due copricapi chirurgici…calzari…occhiali avvolgenti. Qualche foto rubata in gruppo prima dell’intervento, emozione, abbracci, anche qui risuona nell’aria “Andrà tutto bene” “Ce la faremo“, paura, tensione, concentrazione, soddisfazione di far parte di una squadra pronta ad affrontare un nemico tanto temuto quanto invisibile: “Avrò fatto bene? Avrò sbagliato? ” C’è chi deve tornare a casa dai propri cari e ci va con il pensiero fisso:  “Speriamo bene”.

C’è invece chi come me ha scelto di isolarsi da tutto e da tutti:  “meglio così ” lo ripeto spesso, come un mantra che mi dà forza e mi tranquillizza “non ho paura per me ma per gli altri che sono intorno a me“. La lontananza diventa una necessità e una condanna allo stesso tempo. Intervento finito. Trasporto in rianimazione Covid. Doccia nello spogliatoio alle ore 5,10, poi un brevissimo riposo nella stanza per decomprimere, pensieri ed insonnia affollano la mia mente Tante incertezze e tante domande una su tutte:”quando e come finirà?” . Ho solo una certezza per il futuro “comunque vada nel bene e nel male nulla sara’ più come prima.

Non abbiamo bisogno di eroi, ma di persone competenti e di brava gente, che sa cosa significa aiutare l’altro. Di questo abbiamo bisogno e quelle persone ci sono. Ricordiamocene, dopo, sempre.

Dott. Mauro Sgreccia
Reparto di Anestesia delle Chirurgie generali e dei Trapianti
Policlinico Universitario Fondazione Agostino Gemelli