Fra le molteplici proposte di utilizzo del Recovery Fund per il rilancio dell’economia italiana, l’unica che punta forte sull’apprendistato professionalizzante, sembra essere quella lanciata da Forma (associazione che riunisce a livello nazionale gli enti di formazione professionale).
L’IeFP
La formazione professionale in apprendistato duale è un ottimo canale per la riqualificazione e l’inserimento lavorativo di chi ha abbandonato gli studi oppure è rimasto escluso dal mercato del lavoro. Rappresenta inoltre un utile strumento per formare le figure professionali specifiche oggi più ricercate dalle aziende. Insomma, un modo per risolvere quel paradosso tutto italiano che vede una quota cospicua del fabbisogno professionale delle aziende insoddisfatto, nonostante tassi di disoccupazione e inattività giovanile elevatissimi.
L’intervista
Paola Vacchina, presidente di Forma, ci spiega nel dettaglio in cosa consiste la proposta formulata dagli enti di formazione professionale.
Dott.ssa Vacchina, recentemente Forma, l’associazione che raccoglie gli enti di formazione professionale da lei presieduta, ha lanciato al governo la proposta di un piano straordinario per la competitività e l’occupazione, da attuare con il Recovery fund. Di cosa si tratta?
P. Vacchina: Si tratta di una proposta coerente con le linee guida del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e che quindi può essere finanziata con le risorse del Recovery Fund. È rivolta a 330.000 persone nell’arco di cinque anni – prevalentemente giovani dai 18 anni in su – prive di titolo di studio secondario o terziario; si propone di coinvolgerle nel mondo del lavoro, attraverso un contratto di apprendistato formativo di I livello per il raggiungimento di una qualifica o di un diploma di IEFP, o di III livello per raggiungere un diploma di ITS.
Il piano prevede tre azioni mirate, differenziate per platee: per i giovani disoccupati senza titolo secondario superiore è previsto l’accesso in apprendistato formativo all’ultimo anno dei percorsi triennali di IeFP per il conseguimento della qualifica professionale o al quarto per il conseguimento del diploma professionale, in relazione alle competenze possedute; per i giovani Neet con diploma di istruzione secondaria si prevede l’accesso a percorsi di apprendistato formativo di terzo livello per il conseguimento di un diploma Its, che consente un più facile accesso al mercato del lavoro; infine per gli adulti privi di titolo, segmento vulnerabile della popolazione che necessita di interventi volti sia al conseguimento del titolo stesso sia di avvicinamento al mercato del lavoro e alle esigenze del sistema impresa, si prevede di estendere l’accesso ad un anno di contratto in apprendistato formativo.
Il piano è ambizioso e chiede di investire nella riqualificazione e nell’occupazione di questa ampia platea di persone – oggi escluse dai percorsi educativi e dal circuito lavorativo – circa 6,7 miliardi di euro. Esso inciderebbe positivamente su ritardi strutturali del nostro Paese: l’alto tasso di abbandono scolastico, le basse percentuali di raggiungimento di titoli di studio, il numero abnorme di giovani NEET ed anche il paradossale mismatch (disallineamento) tra i profili professionali richiesti (e non trovati) dalle aziende e quelli in uscita dai percorsi scolastici ed universitari. Con una conseguenza, tra le altre: la bassa produttività del lavoro italiano. Anche per questi aspetti il piano è coerente con i migliori orientamenti: non tante iniziative parcellizzate, ma alcune azioni forti e strategiche.
Perché l’apprendistato formativo può essere una soluzione per rafforzare sia il sistema educativo sia le politiche attive del lavoro?
P. Vacchina: Perché è di fatto il grande assente nell’esperienza italiana: apprendistato in termini europei è, di fatto, solo quello duale (di I e III livello), che per ora purtroppo ha numeri molto bassi nel nostro Paese. Scontando una permanente difficoltà delle istituzioni educative (scuole e università) a collaborare con il mondo del lavoro.
A fronte di questo, tuttavia, si registrano casi di grande soddisfazione e di successo nella filiera professionalizzante (soprattutto nella IeFP), sebbene con numeri ancora ridotti. Questa proposta sbloccherebbe la situazione, intervenendo sullo stock impressionante di NEET che si è stratificato nel tempo in Italia. Avrebbe efficacia garantita sia perché coinvolge le aziende ad assumere proprio per quelle posizioni professionali per cui fanno maggior fatica a reperire personale specializzato. Sia perché l’età delle persone coinvolte sarebbe più alta di quella degli allievi o studenti che finora hanno fatto questa esperienza, perlopiù minorenni che suscitano spesso diffidenza da parte dei datori di lavoro.
A posteriori ci restituirebbe un sistema educativo nazionale riequilibrato tra la componente generalista e quella professionalizzante. Con una rete diffusa di operatori della formazione e dei servizi per il lavoro. In grado di accompagnare i processi di transizione delle persone dalla scuola al lavoro e tra i lavori che si susseguono nell’arco della vita.
E perché può sostenere anche la ripartenza del sistema economico?
P. Vacchina: Uno dei paradossi più incredibili e dolorosi del nostro Paese è che a fronte di tanta disoccupazione ed inoccupazione, soprattutto giovanile. A fronte di tanta precarietà e lavoro nero o grigio, le aziende lamentano da anni la difficoltà di reperire operai e tecnici qualificati. Evidenziando delle vacancy a cui il sistema educativo nazionale non riesce a rispondere. Le rilevazioni del sistema Excelsior di Unioncamere lo evidenziano regolarmente.
Solo qualche giorno fa Unioncamere in occasione dell’Internet Governance Forum 2020 ha presentato gli esiti di una indagine che rivela come siano introvabili 940 mila posizioni lavorative legate al digitale.
La rilevazione era del 2019, precedente la pandemia, ma sappiamo quanto questa abbia accelerato i processi di digitalizzazione. Rendendo presumibilmente questa cifra una stima al ribasso. E sono anche tanti altri i profili professionali di difficile reperimento (dalla meccatronica all’agroalimentare, dalle professioni della cura e del benessere alla distribuzione e logistica…); altri ancora, pensiamo allo sviluppo del green, emergeranno a breve.
A grandi linee come immagina possano essere spesi i soldi del Recovery fund: per finanziare le doti destinate agli enti di formazione, per incentivare i datori di lavoro, per pagare gli stipendi degli apprendisti, per pagare la formazione dei progettisti dell’apprendistato o altro?
P. Vacchina: Nella nostra proposta il costo del lavoro di questi apprendisti è sostanzialmente tutto assunto a carico delle risorse pubbliche: sgravio totale della contribuzione e fino ad 800 euro quale contributo massimo riconosciuto al datore di lavoro a fronte della retribuzione erogata all’apprendista sulla base dei contratti collettivi applicati per i singoli settori, stipulati da organizzazioni sindacali e datoriali maggiormente rappresentative a livello nazionale.
Il messaggio è forte: si intende dare ossigeno alle aziende, piccole, medie, grandi, tutte quelle che cercano personale qualificato da stabilizzare nei mesi ed anni futuri, sollevandole – intervento straordinario – dal costo del lavoro delle persone che assumeranno in apprendistato. Ma contemporaneamente si chiede loro un impegno significativo: essere alleate dell’istituzione formativa in un percorso formativo corposo, esigente e realmente performante, che deve dare come esito anche il raggiungimento di un titolo di studio tra quelli più innovativi e richiesti del nuovo repertorio IeFP, dell’IFTS e degli ITS.
Un reddito da lavoro. Un segnale importante
Questi 800 euro al mese rappresentano un costo in meno per le aziende ed un reddito per le persone, sostituendo con un reddito da lavoro altre forme di sostegno e sussidio: è un aspetto talmente importante che non credo sia necessario commentarlo. Questa è la parte più consistente del finanziamento (4 dei 6,7 miliardi).
La restante parte delle risorse è finalizzata ad organizzare e offrire la formazione (secondo i parametri medi attuali di costo, niente di più), quindi va alle istituzioni formative che dovranno incrementare la loro offerta. Serviranno in parte anche per rendere più diffusa e capillare l’infrastruttura formativa, soprattutto in quelle Regioni italiane dove i “competence center” che offrono IeFP e IFTS e gli ITS sono ancora poco presenti.
L’originalità di questa proposta non consiste soltanto nella destinazione dei fondi all’apprendistato formativo, bensì nell’allargamento della platea delle persone ammissibili ad un percorso di questo tipo: saltano infatti i limiti di età previsti dalla normativa sull’apprendistato duale e contemporaneamente si aprono i percorsi IeFP anche alle persone che hanno già assolto il diritto e dovere di istruzione e formazione. Si tratta di misure straordinarie dettate dalla particolare situazione che sta attraversando il mercato del lavoro oppure si può pensare di renderle stabili? Perché? Entro quali limiti?
P. Vacchina: In questa proposta c’è una risposta concreta ed immediata a bisogni evidenti e molto urgenti… ma noi crediamo ci sia anche tanta visione del futuro. L’apertura di quel segmento di istruzione e formazione professionale ordinamentale, il più flessibile e adatto ad accompagnare le persone nei cambiamenti del mercato del lavoro. Dei processi e dei contesti produttivi – anche ai giovani adulti e agli adulti è una prospettiva da rendere stabile.
Noi dobbiamo infatti ampliare questa offerta formativa ordinamentale. Sempre più duale, nell’età dell’obbligo, la dobbiamo consolidare e diffondere su tutto il territorio nazionale. In ragione proprio dell’efficacia educativa, degli esiti occupazionali importanti e della proiezione verso il segmento terziario che sta maturando in questi anni. Contemporaneamente però dobbiamo sapere che anche in età più elevate, anche da adulti, si potrà essere chiamati a rimettersi in gioco e riqualificarsi. Pertanto, valorizzando a pieno il riconoscimento dei crediti in ingresso. Adattando i percorsi formativi agli adulti, credo che essi debbano diventare in futuro un’opportunità formativa stabile.
Una delle tre azioni ipotizzate prevede l’assunzione di giovani Neet con diploma di istruzione secondaria in un percorso di apprendistato formativo di terzo livello per il conseguimento di un diploma Its. Si tratta di un percorso impegnativo: siamo sicuri che un giovane Neet possa intraprenderlo subito, senza un periodo di orientamento e “riattivazione” motivazionale?
P. Vacchina: i giovani NEET in Italia sono due milioni. Tra di loro vi sono purtroppo alcune persone molto demotivate. Che hanno perso fiducia in se stesse e non sono disponibili, né in grado di accogliere una proposta di questo genere. Ma ci sono anche moltissimi giovani a cui semplicemente non è stata offerta una opportunità adatta a loro. Alle loro caratteristiche e propensioni, insieme esigente e promettente. Questo è un percorso impegnativo, per giovani desiderosi di lavorare, che adeguatamente accompagnati possono mettere le loro risorse a servizio della comunità. Un adeguato orientamento va fatto, in questo caso come sempre; il sostegno alla motivazione è una componente ordinaria della nostra offerta formativa. Ciò non toglie che la proposta possa essere eventualmente completata e migliorata con ulteriori dispositivi di supporto.
In Italia i Neet di età compresa fra i 15 e i 29 anni sono circa 2 mln. Attualmente gli iscritti ai corsi ITS sono poco meno di 16.000. Anche ipotizzando che quelli con diploma d’istruzione siano molti di meno, si tratta di numeri elevatissimi. Come immettere così tante persone in un percorso oggi ancora di nicchia?
P. Vacchina: Il progetto non riguarda tutti e prevede una partenza graduale, che permetta alle istituzioni formative, di organizzarsi. I giovani che sarebbero inseriti in percorsi ITS, in particolare, sono complessivamente 70.000 in 5 anni. Finalmente si porterebbe la formazione terziaria non accademica a livelli più adeguati, se paragonati a quelli di altri Paesi europei.
Si ipotizza di assumere in apprendistato formativo anche adulti privi di titolo di studio. Immaginiamo un adulto che inizia in apprendistato duale un percorso IeFP. L’idea è quella di inserirlo nelle medesime classi frequentate dai giovani che stanno assolvendo il proprio diritto e dovere di istruzione e formazione oppure di istituire classi speciali?
P. Vacchina: anche qui, tra i numerosissimi adulti senza titolo di studio e disoccupati (la platea conta 847.000 persone) andrebbero individuati attraverso un’attenta azione di orientamento e selezione. Quelli che possono avere un esito positivo in questo tipo di percorso. Nel Piano ipotizziamo 100.000 persone nell’arco di 5 anni, che andrebbero inserite in terzi o quarti anni ad hoc. Previo riconoscimento dei crediti formativi in ingresso. Forse non utilizzerei il termine “classi speciali”, ma percorsi distinti, adeguatamente riprogettati per questa tipologia di destinatari. L’ordinaria programmazione dei percorsi ordinamentali deve invece proseguire ed anzi essere potenziata mantenendo le proprie caratteristiche distintive.
Come convincere i datori di lavoro ad assumere persone che, magari, sono state lontane per lungo tempo dal mondo del lavoro, o addirittura non vi sono mai entrate?
P. Vacchina: Pensiamo a datori di lavoro che hanno bisogno nell’immediato di quel tipo di lavoratori e che li vorrebbero trovare adeguatamente preparati. Quindi rispondiamo ad una loro richiesta. Molti datori di lavoro sanno, che operai e tecnici provenienti da un percorso formativo di qualità possono portare innovazione e aumento di produttività in azienda. Quindi possono essere interessati anche da questo aspetto. Certo devono fare una scommessa, e impegnarsi nel percorso formativo. Mettendo a disposizione il tutor aziendale e riorganizzando il lavoro. In modo che sia accessibile ad un apprendista, con i suoi tempi e le sue esigenze. Ma sarebbero fortemente incentivati dal sostanziale azzeramento del costo del lavoro per un anno. E forse dall’idea di prendere parte ad una grande rivoluzione per il Paese.
Fonte: Intervista di Paolo Bertuletti per Bollettino Adapt