Vi siete mai soffermati a riflettere su come sia molto più facile essere buoni con gli altri piuttosto che con se stessi? Quando un caro amico o vostro figlio vi chiede consiglio riguardo a qualcosa che lo fa stare male, non vi capita di mostrarvi più indulgenti o più tolleranti?
Ricerche piuttosto recenti in ambito neuroscientifico hanno voluto indagare il ruolo della compassione verso se stessi nella regolazione delle emozioni e nell’aumento dei livelli di benessere psicofisico. I dati hanno dimostrato come la compassione verso se stessi correli con minori livelli di ansia e depressione e attivi nell’individuo processi affiliativi e auto-lenitivi. Sebbene non ci sia un accordo unanime sulla definizione di compassione, in linea con Neff, – una pioniera degli studi sull’auto-compassione-possiamo definirla come la capacità non giudicante di mostrarsi comprensivi e gentili verso noi stessi e verso le nostre debolezze o difficoltà.
Invece di giudicarci e criticarci senza pietà per ogni inadeguatezza, carenza, o fallimento attraverso l’auto-compassione impariamo ad essere gentili e comprensivi. Gilbert, fondatore della Compassion Focused Therapy, ha descritto tre sistemi implicati nella regolazione delle emozioni: il sistema di protezione dalla minaccia, che ci difende dai pericoli; il sistema del desiderio-eccitamento, che è responsabile delle emozioni positive e ci spinge ad raggiungere ciò che ci piace; il sistema della sicurezza e dell’appagamento, che si manifesta con comportamenti di accudimento, validazione ed empatia. Quando impariamo ad essere compassionevoli verso noi stessi e ad accettare che gli altri lo siano con noi, quest’ultimo sistema viene attivato e vengono prodotti maggiori livelli di endorfine ed ossitocina, responsabili della sensazione di calma, sicurezza e tranquillità.
Avere compassione verso noi stessi vuol dire imparare a non giudicare le nostre emozioni come sbagliate o inappropriate, utilizzare calore e affetto quando ragioniamo con noi stessi, accettare che gli altri possano essere compassionevoli con noi e imparare a perdonarsi: come dice spesso Gilbert, molto di quello che accade nelle nostre menti non è frutto di un nostro progetto e, perciò, non è colpa nostra.
Non si tratta di fare del buonismo ma di distinguere quello che non è causato da noi da quello di cui siamo responsabili: possiamo non avere la colpa per come è la nostra mente, per la paura e gli accessi d’ira che si agitano in essa ma solo noi possiamo gestirla e addestrarla affinché ci garantisca la nostra e l’altrui felicità. La capacità di essere compassionevoli verso se stessi si rivela molto utile in quelle persone tendenzialmente soggette all’autocritica e alla vergogna, due emozioni molto intense ed inutili che spesso portano a comportamenti distruttivi e difensivi.
Il primo passo è individuare l’origine di queste due emozioni: l’autocritica e la vergogna sono rappresentate spesso dalla voce di un genitore o di un insegnante che ha insegnato al bambino ad aver paura dei propri errori e a non sbagliare, pena il non essere amato. La vergogna è legata al bisogno di inclusione sociale, alla preoccupazione per la valutazione, per ciò che gli altri pensano di noi.
L’autocritica può essere familiare per coloro che si fissano standard personali elevatissimi e poi cercano a tutti i costi di raggiungerli. Imparare ad essere compassionevoli non è facile, in proposito esistono dei training di terapia che utilizzano una serie di tecniche come l’immaginazione, la tecnica della sedia compassionevole oppure l’esercizio di scrivere una lettera compassionevoli a se stessi. Tuttavia, molti di noi potrebbero incontrare diversi problemi in questo allenamento all’auto-compassione: potrebbero sentirsi ridicoli, provare emozioni spiacevoli come vergogna o paura, potrebbero non riuscire a provare compassione.
La compassione, verso se stessi e ricevuta dagli altri è un’emozione positiva connessa alle relazioni sociali, alla capacità di ricevere accudimento e alle sensazioni di appagamento e condivisione. Per alcuni le emozioni positive sono pericolose poiché hanno a che fare con la sensazione di abbassare la guardia, di sentirsi fuori controllo o sopraffatto dagli altri; la compassione spesso viene fraintesa con l’auto-indulgenza e con l’essere deboli e quindi come qualcosa da evitare. Queste difficoltà possono essere legate a storie familiari di abusi, traumi, abbandoni e carenze affettive durante l’infanzia che hanno generato la paura delle emozioni positive. Ma la scienza parla chiaro, la nostra specie si è evoluta e funziona meglio in condizioni di sicurezza, supporto, senso di connessione e gentilezza reciproca.
Imparare ad essere compassionevoli verso se stessi e a ricevere compassione ci permette infine di capire alcune cose:
1) Il mondo è un posto sicuro: gli altri non ci attaccheranno o ci rifiuteranno perché provano stima per noi
2) La compassione ci permette di creare interazioni significative che garantiscano condivisione e supporto sociale
3) Ricevere dagli altri apprezzamento e interesse ha un effetto diretto sul nostro assetto fisiologico e sul nostro sistema calmante
4) La compassione ci rende saggi e coraggiosi
Sviluppare il sé compassionevole richiede coraggio per poter affrontare il viaggio verso le nostre emozioni e verso le nostre sofferenze. Ci vuole coraggio per accettare un fallimento senza annegare nel mare inutile dell’auto-denigrazione e ci vuole coraggio per accettare le nostre imperfezioni. Ma in fondo, chi ha mai detto che dovremmo essere perfetti?
A cura della Dott.ssa Linda Intreccialagli (Studio Clinico Ciampino)