In Italia stiamo vivendo un’emergenza subdola, perché non si vede e spesso non è percepita da molti: l’emergenza educativa.
Questa emergenza è dovuta ai vuoti che si sono determinati negli apprendimenti di tanti studenti italiani in seguito alle chiusure delle scuole e all’introduzione della didattica a distanza.
Si discute molto dei problemi contingenti come la difficile gestione delle scuole in presenza di contagi ancora molto forti. Della modalità di riorganizzazione delle lezioni, e dei servizi collegati alla mobilità degli studenti.
Si discute molto della capacità del mondo della scuola italiano di affrontare le criticità di questa pandemia, dell’impegno dei docenti e dei dirigenti scolastici.
Temi complessi, che meritano attenzione. Però, purtroppo si discute troppo poco di quello che molto probabilmente accadrà in futuro. Delle maggiori difficoltà che una parte delle nuove generazioni si troverà ad affrontare nel suo percorso di studi e poi nella vita e nel lavoro.
Le analisi della Fondazione Agnelli
La Fondazione Agnelli sta provando a porre il tema all’attenzione del Paese: perché se non vi si porrà rimedio, essi produrranno, a cascata, una maggiore difficoltà ad apprendere nei prossimi anni. Potrebbero determinare un aumento degli abbandoni scolastici o comunque l’uscita dal mondo della scuola con un bagaglio di conoscenze e di capacità inadeguato per frequentare con successo l’università e per affermarsi nel mondo del lavoro.
Questo fenomeno riguarda, in misura molto variabile, un po’ tutti gli studenti italiani. Ma appare certo che esso stia riguardando in modo particolarmente intenso gli studenti più deboli. In primo luogo, quelli con disabilità. Poi, quelli che hanno avuto e stanno avendo difficoltà di tipo tecnico nello studio a distanza, ad esempio per mancanza di connessioni. L’Istat indica che nel 2019 la percentuale di ragazzi fra i 6 e i 17 anni che viveva in famiglie senza disponibilità di connessioni informatiche era del 7,5% al Nord e del 19% al Sud. Particolarmente nelle aree interne.
Una ricerca della Fondazione Agnelli ha stimato che il minore apprendimento di oggi può valere dal punto di vista economico circa 900 euro al mese di minori guadagni futuri. Anche se è difficile immaginare il mondo di domani, e quale sarà il contesto che i ragazzi di oggi incontreranno da adulti, è una cifra che dà l’idea di quanto può valere una buona istruzione. Il Direttore della Fondazione ha descritto questo momento come «il più grande disastro pedagogico del dopoguerra».
Cosa succede all’estero?
Una ricerca altrettanto interessante è quella compiuta in Olanda da un pool di ricercatori delle Università di Oxford e di Stoccolma che ha avuto l’opportunità di studiare una situazione ideale. In Olanda, infatti, le scuole hanno chiuso per 8 settimane e ci sono stati test di valutazione sia prima che dopo questo periodo. Sono stati confrontati i risultati ottenuti dagli studenti dai 7 agli 11 anni negli stessi esami dei tre anni precedenti. Gli studiosi hanno potuto misurare con una certa accuratezza il calo del rendimento scolastico dovuto alla didattica a distanza.
Quello che è emerso conferma le preoccupazioni. Il deficit di apprendimento può essere stimato in una misura che corrisponde alla perdita di almeno un quinto dell’anno scolastico. Più o meno il periodo delle vacanze. In pratica è come se nello stesso tempo della didattica a distanza gli studenti non avessero fatto alcun progresso. La cosa ancora più preoccupante riguarda il fatto che i ragazzi delle famiglie con istruzione più bassa hanno mostrato perdite di apprendimento superiori del 55% rispetto alla media.
Per capire cosa questo voglia dire si deve tenere presente che in Olanda la situazione tecnologica è considerata ideale, nel senso che non esistono problemi di strumenti e di possibilità di connessione. Immaginiamo quali risultati si possono avere invece in Paesi meno avanzati o dove le famiglie non riescono a disporre di mezzi adeguati per far seguire le lezioni ai figli e poi per aiutarli nell’apprendimento.
Test INVALSI
In Italia non si può calcolare esattamente l’entità della perdita di apprendimenti sofferta dagli studenti. Le prove Invalsi di primavera sono state infatti cancellate. La pandemia è stata una scusa per eliminare un passaggio scolastico particolarmente inviso a molti. Questo, però, ci priva dello strumento per misurare il calo degli apprendimenti degli studenti nel 2020.
Paragonandone i risultati con quelli delle generazioni precedenti. Pare che anche quest’anno le prove Invalsi non saranno somministrate. Questo sarebbe un grave danno per il nostro sistema educativo perché ci impedirebbe di stabilire, con una certa certezza, il gap di apprendimento, conoscenze e competenze dei nostri studenti. Senza questi dati sarebbe impossibile immaginare adeguate strategie di compensazione.
Cosa si può fare?
Sicuramente l’azione portata avanti nelle scuole dai docenti e dai dirigenti più impegnati e volenterosi sta parzialmente colmando le lacune della didattica a distanza. Fuori dalla scuola, grazie ai servizi sociali e all’azione del Terzo Settore; ad esempio, con l’ azione di soggetti come l’Impresa Sociale Con i bambini si sta facendo molto per supportare i ragazzi più fragili ed arginare i fattori che rischiano di aumentare la povertà educativa.
Pare necessaria un’azione di sistema, nazionale, che sia definita presto (perché siamo già in ritardo) e poi sia messa in atto su grande scala per il tempo necessario.
Sarà bene discuterne in profondità contenuti e modalità, nient’affatto ovvi (lavoro pomeridiano, lavoro estivo, docenti supplementari, lavoro personalizzato/per piccoli gruppi?), con gli esperti e il mondo della scuola.
Ma preliminarmente l’emergenza va riconosciuta e portata fra le priorità della politica. Indispensabile è la somministrazione delle prove Invalsi per avere dati concreti da cui ripartire.
Articolo a cura di Laura Bonaita (Responsabile ufficio progettazione presso Associazione Formazione Professionale del Patronato San Vincenzo)