Per scegliere un percorso di formazione, di studi superiori o un ambito professionale dove fare carriera è strategico conoscere e restare informati su come va e dove sta andando il mercato del lavoro. Quali sono i titoli di studio che offrono maggiori probabilità di successo? Quali sono le figure professionali più ricercate nel 2018? Quali sono le realtà aziendali che assumono maggiormente e in quali settori produttivi?
Chiariamoci un pò le idee analizzando i numeri e le statistiche che danno informazioni sul trend del mercato del lavoro e dei fabbisogni professionali espressi dalle imprese. L’analisi del Sistema Informativo Excelsior, ci rivelano i settori in crescita nell’economia nazionale ed europea.
Eccoli di seguito elencati:
-Blue Jobs (settori marino e marittimo in chiave sostenibile)
-Brown Jobs (agricoltura e mestieri della terra)
-Green Jobs (green economy, energia, sostenibilità)
-Orange Jobs (professioni digitali)
-White Jobs (professioni sociali e sanitarie, servizi alla persona, educazione e cultura)
Le professioni più ricercate
Dalle più recenti previsioni risulta che le imprese cercano sempre più personale laureato, ma lamentano difficoltà nel trovarli. Le lauree più ricercate dalle imprese ma che risultano difficilmente reperibili sono:
-settore linguistico (69,9% la difficoltà di reperimento)
-ingegneria elettronica e dell’informazione (58,7%)
-ingegneria industriale (50,2%)
-matematica (40,9%)
Se le aziende cercano personale con titolo di studio secondario (diploma), trovano difficoltà a reperirne nei settori produzione industriale e artigianale e in informatica e telecomunicazioni.
Tra gli altri profili tecnici “introvabili” abbiamo:
-costruzioni, ambiente e territorio (34,0%)
-meccanica (29,6%)
-elettronica ed elettrotecnica (30,6%)
In relazione ai fabbisogni occupazionali previsti all’anno 2020, lo studio prevede un incremento dei posti di lavoro nei servizi (83% dei fabbisogni professionali), sia “tradizionali” (commercio, sanità e assistenza sociale) che “avanzati” (digitale, informatica, finanza). Seguono l’istruzione, le costruzioni, i trasporti e il turismo. Contrariamente l’industria manifatturiera segna rilevanti contrazioni per il comparto dei minerali non metalliferi, della chimica farmaceutica, dell’industria metallurgica e del tessile-abbigliamento.
Le opportunità della rivoluzione ecologica e sostenibile: Blue, Brown e Green Economy
Adottare un’economia sostenibile, capace di sposare lo sviluppo con la salvaguardia dell’ambiente, è oramai un imperativo improcrastinabile. Tutto questo significa innovazioni organizzative, nuove tecnologie ecocompatibili, strategie di riduzione dei consumi energetici. Una rivoluzione copernicana che offre ed apre interessanti opportunità occupazionali con nuove competenze richieste. Pensiamo alla Blue Economy, in cui si prevedono 5 milioni di posti di lavoro in tutta Europa, con un valore aggiunto lordo di quasi 500 miliardi di euro l’anno. I settori professionali legati alla Blue Economy riguardano comparti tradizionali (acquacoltura e turismo marittimo) e innovativi, come l’energia blu (l’eolico offshore e gli impianti solari in mare aperto), e le biotecnologie blu (come la farmaceutica e i biocarburanti). La svolta sostenibile coinvolge anche la Brown Economy, ovvero quella collegata all’agricoltura. Si assiste a uno storico processo di innovazione tecnologica che favorisce l’ingresso di giovani neo-imprenditori e di nuove aziende agricole verso il boom dell’agricoltura sostenibile.
Ma è nei Green Jobs che stanno nascendo milioni di posti di lavoro. Nell’Unione Europea i Green Jobs sono aumentati del 49% in 15 anni, mentre l’occupazione tradizionale è aumentata solo del 6%. Nello stesso periodo, la ricchezza prodotta dall’economia verde è passata dai 135 ai 289 miliardi di euro (qui tutti i numeri del settore). Visti questi volumi, Green Economy significa anche opportunità di lavoro. Secondo il rapporto GreenItaly 2016 di Unioncamere e Symbola, in Italia ci sono già tre milioni di persone occupate nei Green Jobs, dove emergono nuove figure specializzate molto richieste sul mercato.
Il futuro è digitale: i lavori nella orange economy
Come abbiamo visto, le aziende assumono prevalentemente figure high skills (dirigenti, professioni specialistiche e tecniche) e punteranno sui saperi hi-tech. In tal caso le opportunità di impiego riguardano la cosiddetta Information & Communication Technology (ICT): secondo recenti stime della Commissione Europea, nel 2020 ci saranno circa 1 milione di posti di lavoro in più nell’ICT. In questo senso, basti pensare agli effetti occupazionali della cosiddetta platform economy, ovvero l’economia che ha al centro le piattaforme digitali, che fanno interagire consumatori e produttori (le più note sono AirBnb, Amazon, Ebay, Google, Quandoo, o Uber).
Per cogliere le opportunità della orange economy ci sarà bisogno dello sviluppo di competenze digitali a 360 gradi, come in parte suggerito dal documento di indirizzo del MIUR Piano Nazionale Scuola Digitale. Tra i profili più ricercati ci sono lo sviluppatore di software, il SEO specialist, il social media manager e tante altre professioni che segnano straordinarie tendenze di crescita per l’immediato futuro. Eppure le competenze maggiormente richieste e difficili da trovare restano ancora quelle del coding e del programming, ovvero della padronanza di codici e algoritmi. Secondo un altro studio dell’Unione Europa, entro il 2020 serviranno 900 mila sviluppatori in più rispetto a quanti le scuole europee ne riusciranno a formare.
Occupazione e servizi alla persona: le opportunità dei White Jobs
Ancora il rapporto di Unioncamere ci spiega che le nuove abitudini di consumo e l’invecchiamento della popolazione fanno crescere anche il comparto dei servizi alla persona, quasi triplicato negli ultimi sei anni. Cresce la domanda di attività collegate alla cura (si pensi agli anziani in casa), ma anche di quelle collegate al benessere e ai servizi di bellezza. Anche il sociale in senso stretto, rappresentato in gran parte dal Terzo Settore (gli enti privati impegnati in attività di utilità sociale) segna numeri entusiasmanti: 300.000 istituzioni non profit, per un totale di quasi 1 milione di
operatori e operatrici, numero che sale quasi fino a 5 milioni se si considerano anche i volontari che contribuiscono ogni anno alle attività di enti e cooperative sociali, per un fatturato complessivo di settore che raggiunge diverse decine di miliardi di euro l’anno. In questo campo spiccano poi le imprese sociali, che il Decimo Rapporto dell’Associazione Isnet stima in crescita di 15.000 unità nei prossimi anni. Già oggi le imprese sociali producono ricchezza superiore ai 20 miliardi di euro l’anno (20,6 miliardi) e impiegano 735 mila addetti. Se cresce l’economia sociale, crescono i White Jobs e la varietà dei servizi offerti, che possono essere diversi: assistenza sociale, assistenza sanitaria e sociosanitaria; educazione, istruzione e formazione extrascolastica, universitaria e post-universitaria; valorizzazione del patrimonio culturale servizi culturali e turismo sociale.